Gibilterra

Giovanni Brardinoni

E così finalmente si parte, il viaggio a lungo sognato ma sempre rimandato ora è realtà; mi sono sempre chiesto cosa spinga l'uomo a cercare il limite in tutte le cose, e quello geografico è certamente il più affascinante, il più misterioso... "Le colonne d'Ercole", un posto magico che fin dagli albori delle civiltà dell'uomo ha sempre avuto un fascino particolare, il punto oltre il quale il mondo finisce ed il mare precipita in un vuoto senza fine. Certo oggi pensare a Gibilterra in questi termini ci fa sorridere, ma il fascino di arrivare la, dove l'Europa è tanto vicina all'Africa da sembrare in grado di poterla toccare, non sbiadisce di certo.

Con Paolo e Viviana si decide tutto in pochi giorni, un "road-book" appena abbozzato ed il resto verrà strada facendo.

Si parte il 1 Gennaio, lasciando, con un po’ di rammarico in verità, i parenti e gli amici ancora a tavola, ma con dentro quella sensazione di gioia sottile che ti prende quando stai per realizzare un desiderio troppo a lungo tenuto nel cassetto.

La strada verso Genova, il punto di incontro, sembra più corta del solito, poco traffico e giornata uggiosa, ma d'altra parte, visto il periodo dell'anno, potrebbe essere molto peggio, per ora va bene così. La sera in albergo una buona cena in compagnia per concordare gli ultimi dettagli e poi a letto, ci vuole proprio una bella dormita, da domani si fa sul serio.

Ore otto, si accendono i motori, fuori comincia ad albeggiare ed il tempo non promette nulla di buono e neanche le previsioni... vento molto forte, pioggia e freddo, se il buongiorno si vede dal mattino la nostra tabella di marcia, circa 1.000 Km al giorno, rischia di subire un duro colpo. E purtroppo siamo stati buoni profeti, i 160 Km che ci separano dal confine francese ci impegnano sotto una pioggia incessante per oltre due ore a contrastare un vento talmente forte le cui raffiche improvvise fanno scarrocciare la moto come una barca senza deriva.

Poi, mano a mano che ci addentriamo in Francia, il vento diminuisce la sua intensità fino a quasi scomparire del tutto ed il cielo si apre, un bel sole ci riscalda il corpo e l'anima, forse la tabella di marcia non è del tutto andata. L'asfalto scorre sotto la moto e i km si susseguono uno via l'altro, solo il tempo di riempire i serbatoi e poi di nuovo in sella, verso Ovest.

Il confine spagnolo è superato nel primo pomeriggio e verso sera arriviamo a Tarragona, dove cerchiamo un albergo per la notte. Ne troviamo uno molto bello ed accogliente, il tempo per una doccia veloce e per vestire panni "civili" e siamo già fuori alla caccia di un locale dove gustare la tipica cucina iberica. Ne troviamo uno davvero caratteristico nella piazza principale del borgo antico, fumo, rumore, tavoli in legno, gente di tutte le età; qualche "tapas" e una strana zuppa di lenticchie dove "nuotano" pezzi di salsicce e salumi la cui composizione è meglio non indagare. Dimenticavo, comincia il lungo rosario di birre che ci farà buona compagnia per tutto il viaggio.

Non ci siamo nemmeno accorti di aver dormito che è già il mattino dopo, sono le sette e fuori è ancora buio pesto, poi pensiamo: "per forza, stiamo andando verso ovest, sarà sempre peggio via via che proseguiamo", ma non importa, il tempo sembra buono e la temperatura è superiore ai 10° C.

Le autostrade spagnole sono bellissime, per la maggior parte a tre corsie con poco traffico sempre disciplinato, i km passano veloci come i pensieri, la tua musica preferita a farti da colonna sonora e un bel sole caldo, cosa chiedere di più?

Il paesaggio cambia di continuo, interminabili distese di agrumeti lasciano il posto alla caratteristica vegetazione alpina, stiamo entrando nell'altipiano della Sierra Nevada, il cielo è terso ed il sole accecante, la temperatura scende repentinamente quando ai piedi della grande montagna ci appare Granada, capoluogo dell'Andalucia, preziosa e decadente perla ispanico-musulmana della civiltà Nazarì. Scorgiamo le fortificazioni dell'Alhambra e del Generalife, ma non possiamo fermarci, abbiamo ancora tanti km da percorrere.

Poi la montagna lascia il posto ad una natura diversa, le grandi conifere spariscono, ora ci sono palme e ad una terra sempre più rossa e sempre più arida, fino a quando anche le palme non si scorgono più, intorno a noi solo bassi e radi cespugli che ci ricordano i deserti messicani. Il sole comincia a scendere, guardiamo l'orologio increduli, sono le sette ed è ancora sopra l'orizzonte. Ci siamo quasi, Gibilterra non è lontana, un ultimo sforzo e, proprio mentre l'immenso disco rosso del sole sparisce dietro le quinta naturale delle colline, raggiungiamo la nostra meta.

Mi guardo intorno, le luci del porto fanno da cornice all'imponente rocca, spartiacque naturale tra l'Oceano Atlantico ed il Mediterraneo... non vedo l'ora che sia domani!

Ed eccoci qui, siamo in fila alla frontiera, tra turisti e transfrontalieri passiamo il varco e subito la prima stranezza... per entrare in città si deve attraversare la pista di volo dell'aeroporto di Gibilterra regolati da un minuscolo semaforo, neanche fossimo a piazza Venezia! Ci dirigiamo senza indugio verso la rocca, "The Rock" come la chiama la gente del posto, le strade della città sono anguste delimitate da un’architettura di fine ottocento di sapore anglosassone ma con evidenti contaminazioni continentali ed arabe.

Entriamo nel parco della rocca e la prima cosa che visitiamo è il famoso tunnel, "The Upper Galleries". Incredibile opera di ingegneria militare, scavato durante il grande assedio (il quattordicesimo subito da Gibilterra nel corso della sua lunga storia!) portato dalle truppe Franco-Spagnole agli Inglesi e durato dal luglio 1779 al febbraio 1783; i lavori di scavo iniziarono nel Maggio 1782, sotto il comando del Sergente Maggiore Ince della Compagnia degli Artificieri (sarebbero poi diventati i Genieri Reali) che ottenne il permesso dal Governatore di Gibilterra, Generale Elliot, il quale aveva promesso una ricompensa a chiunque fosse riuscito a colpire gli assedianti dalla parete nord della rocca, una vertigine praticamente verticale conosciuta come "The Notch". In cinque settimane, 18 uomini con il solo ausilio di martelli, scalpelli e polvere da sparo realizzarono un tunnel di 2,4 mq di diametro per 25 m di lunghezza. In origine non si sarebbero dovuti installare cannoni ma, causa la polvere e il fumo delle esplosioni i minatori rimasero quasi soffocati, tanto che fu necessario aprire un "foro" di ventilazione; fu subito chiaro che quel foro sarebbe stato un ottimo posto per installare un cannone e così fu fatto, prima ancora di terminare il tunnel e aver raggiunto "The Notch". Al termine dell'assedio (per la cronaca terminato senza nessun risultato per le truppe Franco-Spagnole) nel 1783 il tunnel misurava 113 m. Durante la seconda guerra mondiale i Genieri Reali, discendenti di quegli Artificieri, realizzarono oltre 40 Km di gallerie all'interno della rocca.

Poi, come novelli Alighieri "uscimmo a riveder le stelle", anche se in realtà non è ancora mezzogiorno... non poteva mancare quindi una visita alle grotte ed al santuario delle scimmie; veramente incredibile vedere questa colonia di macachi aggirarsi tra le persone con una naturalezza ed una sfacciataggine che ricorda gli scugnizzi napoletani delle commedie di Scarpetta.

Prima di lasciare la rocca ci inerpichiamo su un terrapieno che doveva essere servito come installazione di un poderoso cannone (sono ancora presenti i binari di rotazione dell'affusto) che proteggeva l'ingresso sul lato atlantico del golfo di Gibilterra, il panorama è di quelli che ti lasciano senza fiato: l'immensa distesa azzurra dell'oceano ed in lontananza le coste del Marocco spuntano da una corona di nuvole di ovatta. Indimenticabile.

Percorrendo una strada larga a malapena come le nostre moto e con una pendenza degna di una buona pista rossa, raggiungiamo la città, lasciamo le moto con un po’ di apprensione e ci inoltriamo all'interno della parte fortificata, la città vecchia, il cui corso principale è costellato di negozi di elettronica, gioiellerie, profumerie, tabaccherie, come si conviene ad una zona franca.

Mangiamo in un pub inglese una bistecca cucinata... all'inglese, bagnata dalla birra di prammatica, seduti all'aperto in maniche di maglietta con il termometro che segna 22° C, pensiamo all'Italia e al tempo che ci dicono non è proprio primaverile e un po’ sorridiamo... ma solo un po’.

Inevitabilmente arriva il momento di salutare Gibilterra, posto magico e intrigante per la sua storia e per la sua etnia che mescola Europa ed Africa in un vortice di lingue assolutamente bizzarro, dobbiamo ripartire la via del ritorno ci attende.

Le sensazioni ed i pensieri che ci affollano la mente sono un vortice di contrasti, equamente divisi tra la voglia di tornare e la nostalgia di lasciare questi luoghi fantastici. E' in questi momenti che capisco perchè amo la moto e non potrò mai fare a meno di questa silenziosa compagna che mi conduce lungo le vie del mondo avvolgendo i miei pensieri con il ronzio sommesso del motore, non ti chiede quale sarà la meta nè quale strada percorreremo, solo asfalto sotto le ruote da divorare chilometro dopo chilometro.

Quando è ormai buio ci fermiamo ad Almeria, dove il paesaggio mi riporta alla mente sensazioni familiari, che in quel momento non sò collocare. Leggeremo poi che i suoi dintorni sono stati le location di quasi tutti i western del grande Sergio Leone. La città è una vera sorpresa, la modernità si coniuga sapientemente con l'originale impianto urbanistico, valorizzandolo senza stravolgerlo. L'albergo è ottimo ed il ristorante dove ceniamo altrettanto; il mio palato viene gratificato da un superlativo filetto di ventresca cucinato benissimo e servito anche meglio, mentre Paolo e Viviana si fanno fuori ben nove etti di carne cucinata sapientemente e servita su una lastra di terracotta lavorata a refrattario molto simile alle nostre pietre ollari.

La mattina successiva decidiamo di non fermarci più in Spagna ma di proseguire fin dove ce la facciamo ed infatti tiriamo il più possibile fino a Narbonne, dove arriviamo che sono ormai le otto passate; circa 12 ore di moto, mica male...

Ormai il viaggio volge al termine, alle sette del giorno successivo ci rimettiamo di nuovo in moto per fermarci solo quando saremo arrivati a casa, una tappa di circa 1.350 Km di cui i più difficili sono proprio gli ultimi 500; è un vero shock ritrovarsi sulle nostre autostrade super trafficate con gli automobilisti più indisciplinati d'Europa dove ogni viaggio si trasforma in un videogame... ma alla fine felice, anche se un pò stanco, spengo il motore dopo oltre 5.200 Km percorsi e un infinità di ricordi ed emozioni che porterò sempre nel cuore.

Grazie K senza di te non avrei mai potuto viaggiare per cinque giorni alla rispettabile media di 1.000 Km/giorno.

Grazie ai miei splendidi compagni di viaggio Paolo e Viviana e a Tiziana, moglie meravigliosa, per avermi dato la possibilità di realizzare un sogno.